In Grecia il giorno da evitare è il martedì. Perché fu un martedì, il 29 Maggio 1453 che le truppe turche entrarono a Costantinopoli ponendo fine all’Impero Romano d’Oriente e alla gloria di Roma, sorta il 21 Aprile del 753 avanti Cristo sul Palatino.
E’ stato uno degli eventi più importanti della storia: dalla capitale bizantina in mano agli islamici scapparono in molti e si riversarono in Italia, in particolare in Toscana e fecero conoscere i testi greci ai letterati fiorentini: nacque l’Umanesimo che di lì a poco qualche chilometro più a Nord avrebbe creato la Riforma Protestante, per opera tra gli altri di Filippo Melantone, nipote di Giovanni Reuchlin che fu uno dei primi studiosi moderni del greco .
Da Costantinopoli, poco prima della fine dell’assedio scappò anche il contingente genovese guidato da Giustiniani (un nome simbolico), che trascorse tutto il resto della vita nel rimpianto di quella fuga e si rifugiò nell’isola di Chio (allora colonia genovese, oggi parte della Grecia) a due miglia di mare dalla costa turca. Pochi anni dopo da quelle parti capitò un giovane marinaio ligure che si lambiccava il cervello per cercare di arrivare in India senza passare attraverso le terre mussulmane: si chiamava Cristoforo Colombo e il suo nome continua a far notizia.
Il risorgimento europeo del 1800 è anch’esso frutto e reazione della caduta di Costantinopoli: la guerra di indipendenza greca del 1821 fu l’antesignana di tutte le altre e fu sostenuta anche dalle potenze dell’Ancien Regime, prima fra tutte la Russia Zarista e Ortodossa.
L’obiettivo era liberare Atene per arrivare a Costantinopoli: un sogno che è durato un secolo, fatto di conquiste progressive di lembi di terra riconquistati alla Cristinianità: prima il Peloponneso, l’Attica e le isole Ionie, poi le terre tra Arta e Volo, infine Salonicco (che era per un terzo ebrea e nel resto mezza islamica) e Creta.
La Grande Idea era di prendere anche Smirne e Istanbul; ma la reazione feroce e spietata di Ataturk all’offensiva greca nel 1922 spezzò il sogno: milioni di profughi cristiani scapparono dall’Asia Minore, espulsi definitivamente quando all’Impero Ottomano multietnico e parzialmente tollerante subentrò lo Stato nazionale Turco, formalmente laico, ma intollerante verso qualsiasi presenza greca e cristiana.
E’ stata una delle tragedia più grandi del secolo scorso, dato che vi si sommò il genocidio degli Armeni, che riuscirono a tenere in vita la loro storia millenaria solo al riparo della Repubblica Sovietica di Erevan, che poi è diventata l’attuale Armenia indipendente.
Ma l’Occidente è strabico. Come notava Mommsen le città greche guardano tutte a Oriente, quelle italiane invece verso Ovest.
L’Adriatica è solo una dorsale, qualcosa da mettersi alle spalle, come il passato.
Sembra quindi un evento marginale e folkoristico che Erdogan ripristini la Moschea a Santa Sofia.

In realtà è una palese violazione dei trattati di Pace che cercarono di fare ordine nelle regioni balcaniche che Winston Churchill definiva “il ventre molle d’Europa” e ne sapeva qualcosa perché da giovane aveva assistito alla presa di Gallipoli (città turca sui Dardanelli, solo omonima dell’altrettanto bella città salentina) .
Santa Sofia museo, terra neutrale, così come la presenza del Patriarcato ortodosso al Fanar di Istanbul e la presenza ortodossa nelle isole del Mare di Marmara furono articoli delicatissimi delle condizioni di pace. Per evitare revanscismi e pretesti per guerre ulteriori si cercò di garantire la doppia natura di Istanbul , prevalentemente asiatica e mussulmana ma ancora in parte europea e cristiana.
La speranza era che la nuova Turchia fosse come l’hotel Hilton reso immortale da Pamuk, un pezzo di Occidente in terra orientale e che le differenze che la storia e le fedi avevano creato si sfaldassero nel vento della modernità, tra auto americane e giapponesi, vestiti inglesi e italiani e libri francesi.
Ma la Storia non è finita e continua a prendersi le sue rivincite. Tra Alessandropoli e Adrianopoli c’è meno di un’ora di strada ma una voragine di differenze.
La Tracia greca si specchia orgogliosa nell’Egeo e cerca di allungarsi verso la capitale eterna della Grecia bizantina, la leggendaria Costantinopoli, dove siede ancora il Patriarca Bartolomeo.
La Tracia turca si allunga verso i monti Rodopi e guarda fino a Belgrado con ambizioni di nuovo dominio sulle terre islamiche kosovare, albanese e macedoni.
Poco più a Nord c’è il Mar Nero con due estremi: la Crimea che la Russia si è ripresa a forza per mettere i piedi al caldo e Trebisonda, la moderna Trabzon turca.
In questa città c’è una squadra di calcio che ne porta il nome. Curiosamente al sessantunesimo minuto la sua tifoseria esulta.
E’ per celebrare l’anno (1461) della conquista turca della città, che per molti anni ancora rimase popolata di Greci, fino all’epurazione di un secolo fa.
I ragazzi che esultano sono solo i lontani nipoti di coloro che vissero quelle guerre, ma le ferite della storia sono sempre vive.
Del resto due delle squadre più tifate della Grecia hanno ancora oggi la loro sede formale a Costantinopoli: l’A.E.K., trasferita ad Atene e il P.A.O.K, spostato a Salonicco.
Per noi occidentali Parigi val bene una messa e nessuno si cura troppo delle alterne vicende dei luoghi di culto, spesso deserti.
Ma basta attraversare lo Ionio per entrare in un’altra dimensione e capire che tra minareti con la mezzaluna e cupole sormontate dalla croce, tra il rosso e il verde del Sultano e il bianco e l’azzurro dell’Ortodossia la guerra non è mai finita.