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L’estate: il tempo della Grecia
Con l’estate arriva il tempo della Grecia.
Difficile, del resto immaginare l’Ellade d’inverno; tutte le fotografie e i ricordi, reali o libreschi che ne abbiamo ci riportano cielo azzurro e sole a picco. Non a caso un bel libro di molti anni “L’estate greca “di Jacques Lacarrière recava nel titolo questa associazione d’idee.
Per molti una vacanza o un soggiorno in Grecia presenta una sorpresa: la lingua del posto, pur scritta in caratteri familiari a chi ha fatto il classico, suona diversa, con intonazioni tra il veneto e lo spagnolo.
Qualsiasi tentativo di comunicare con l’idioma appreso con dolorosi sacrifici negli anni liceali naufraga miseramente.
La conclusione di molti italiani a questo punto è drastica: i greci veri sono morti da tempo con la loro bella lingua e la Grecia attuale è un Paese arretrato abitato da poveracci. “Peggio di noi c’è solo la Grecia” è un mantra abituale della comunicazione economica italiana degli ultimi anni.
I Greci invece in genere hanno simpatia per noi, ma con i proverbi in falso italiano tipo “una faccia, una razza” peggiorano la situazione.
Del resto, l’aveva già scritto Mommsen che Italia e Grecia non si guardano: la prima ha il litorale principale, quello tirrenico, che affaccia a Occidente, la seconda, ha la sua costa più importante, quella Egea, verso l’Oriente.
Il greco lingua morta
La causa dell’incomprensione è colpa di Erasmo, il celebre umanista itinerante nato a Rotterdam, che dopo la riscoperta della lingua greca, rimasta ignota per tutto il Medioevo, non si fidò della pronuncia dei bizantini, che gli sembrava troppo poco musicale e distante dalle regole fonetiche latine.
In sostanza per Erasmo il greco andava parlato come era scritto. Esattamente come se volessimo (come molti italiani fanno) parlare in inglese scandendo tutte le lettere, scatenando l’ilarità dei locali che mai pronuncerebbero il nome della città di Leichester per intero e la conoscono come “Lesta”.
Questa bella pensata ha senz’altro reso più agevole la conoscenza delle opere letterarie greche ed è stata facilitata dal fatto che nessuno può parlare con Omero o Tucidide.
Ma i Greci ci sono ancora e si ostinano a parlare la loro lingua come a loro garba, come fanno i francesi e gli inglesi, applicando regole fonetiche come quella che vuole che il dittongo “ai” si pronuncia “e” e la lettera Beta non si pronunci come la B latina ma come la V.
Del resto l’alfabeto greco non va dalla A alla Z (che è a metà esatta delle lettere) ma fino alla Omega, passando per la lettera Eta che si pronuncia I, lasciando il suono E solo alla Epsilon.
L’assurdità della pretesa di Erasmo di pronunciare il greco secondo i canoni latini è diventata nel tempo legge per tutta la cultura occidentale, ignorando che già al tempo degli antichi poeti Alceo si scriveva Alkaion.
Il fatto è che a qualcuno la sopravvivenza della Grecia dava fastidio.
Questo qualcuno sedeva sul trono papalino in Vaticano. Infatti, poco prima dell’inevitabile caduta dell’Impero Romano di Oriente (nel fatidico martedì 29 Maggio 1453, di cui abbiamo già scritto) la Chiesa Cattolica cercò, in particolare con il Concilio di Firenze, di incorporare la Chiesa Greca, senza riuscirvi.
Gli Ortodossi, infatti, consapevoli e orgogliosi di derivare dalla prime Chiese fondate dagli Apostoli, rifiutarono di gettare a mare la loro identità per diluirsi nel mare latino e sdegnarono di diventare una periferia romana.
Accettarono quindi la sorte di esser una comunità prigioniera e una Chiesa del silenzio sotto il gioco Ottomano, pur di continuare a esistere e preservare l’immensa tradizione culturale e linguistica greca, che ebbero il merito di trasmettere a molti popoli slavi, inclusi i Russi.
Erasmo e la pronuncia del greco
Questa scelta non fu senza conseguenze: la Chiesa Cattolica e le sue istituzioni culturali, quali le scuole dei Gesuiti e dei Barnabiti, impostarono i loro insegnamenti scolastici del Greco sulla base di tre presupposti:
1) La pronuncia erasmiana;
2) Il concetto di Greco come lingua morta, al pari del Latino. Questo concetto era essenziale perché è in Greco che è scritto il Nuovo Testamento e lasciare viva e con eredi questa lingua avrebbe avuto la conseguenza esiziale di sottrarre alla Chiesa Cattolica e alla sua traduzione in latino (la Vulgata) la sua autorevolezza;
3) L’idea della fine della Grecia alla fine dell’Età antica e la visione dell’Impero Romano d’Oriente come un fenomeno marginale e decadente, spregevolmente definito “bizantino”, sinonimo di complicazione inutile quasi bizzosa (l’assonanza lessicale non fu scelta casualmente) . Anche questo aspetto era essenziale per sottrarre peso alla tradizione patristica orientale, scritta in Greco, a vantaggio dei pochi Padri della Chiesa di lingua latina (sostanzialmente Ambrogio e Agostino).
Il risorgimento greco che segnò nel 1821 la fine dell’epoca della Restaurazione fu infatti accompagnato dalla spinta russa e inglese, due Paesi non cattolici, che diventarono gli artefici e i garanti dell’indipendenza dai Turchi.
L’Europa cattolica fu sorpresa e liquidò la questione come un fenomeno locale, “balcanico” e curò che lo Stato Ellenico finisse sotto la corona di un Re Bavarese, che della Grecia aveva un’idea del tutto conformista e che riempì la moderna Atene di marmi bianchi, ignorando che le Statue antiche erano colorate di sgargianti tinte come i mosaici di Eleusi e Ravenna.
La dinastia tedesca non durò molto ma gli equivoci e le incomprensioni tra Grecia e Occidente non sono certo finiti.
La Grecia: lingua, realtà e miti dell’occidente
La Grecia non è un Paese, è un’idea di nazione fondata su due pilastri: la lingua e la religione.
Non contano i confini geografici e i Continenti: l’Ellade va da Corfù a Costantinopoli, da Zante (la Zacinto del greco- veneziano Foscolo) a Alessandria d’Egitto (la città del maggiore poeta greco contemporaneo, Kavafis).
La cartina politica greca è stata una continua espansione in direzione Nord Est, dal Peloponneso, dove è Nauplia la prima capitale, alla linea Arta (a Ovest) a Volo (Ovest) fino al confine sull’Evro, ottenuto dopo la Prima Guerra Mondiale.
Il sogno, la Grande Idea (come si è chiamata in politica) era la riconquista di Costantinopoli e del Vaticano Ortodosso, Santa Sofia, sfumato con l’incendio e la strage di Smirne da parte dei Giovani Turchi di Ataturk.
In compenso, grazie all’intraprendenza del Primo Ministro Venizelos (cognome che letteralmente vuol dire Veneziano) è tornata greca Creta, che lo era etnicamente fino ai inizi del 1900 solo nella parte occidentale e, grazie alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, il Dodecaneso.
Ma la Grecia è incompresa.
Per gli occidentali, compresi gli italiani vi si parla il Greco moderno, come se questo fosse una lingua nuova ed una nazione che ha in comune con quella di Pericle solo il nome, quasi fosse quello di una “espressione geografica” per descriverle una penisola, parafando Metternich.
Per i Greci invece esiste una continuità unica ed ininterrotta tra il lineare B e le espressioni dei portuali del Pireo assicurata dalla più forte, consolidata e autorevole Istituzione nazionale: la Santa Chiesa Ortodossa, fondata non su vincoli gerarchici (dato che il Nord del Paese è sotto il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli che ancora oggi ha sede a Istanbul nel quartiere Fanar e il Sud è sottoposto alla Chiesa di Atene) ma su legami di fede vissuta e testimoniata con il sangue.
La lingua che fu di Leonida è stata usata dal suo discendente Kolokotronis , capo delle milizie volontarie nazionali che con eroismo laconico scacciarono i turchi e l’elogio di Atene è ancora oggi udibile nei comizi politici che nella terra dove è nata la dialettica infiammano ancora le piazze, come ha dimostrato il commovente “No” all’Ultimatum delle Trojka europea nel memorabile Referendum di qualche anno orsono.
La lingua greca non è un porto sepolto da far scavare a qualche archeologo: è la più antica lingua indoeuropea ancora parlata, idioma nazionale di Grecia e Cipro, forma di comunicazione per milioni di persone nel mondo.
Pronunciarla come lo fanno i greci attuali è una forma di rispetto elementare per un popolo e il rigetto di una superata forma di colonialismo culturale, che in nome di una immaginaria teoria sulla pronuncia degli antichi, espropria tuttora una nazione del suo passato e della sua dignità.
Se ci pensate è la stessa questione dei fregi del Partenone che invano la Repubblica Greca (che si pronuncia Ellenikì Demokratìa) ha richiesto indietro ai predatori inglesi.
Il Partenone resta nudo, perché gli occidentali lo vogliono così, omaggiando il loro balordo concetto di classico come sottrazione.
I fregi che invece lo restituirebbero alla sua fisionomia originale di allegro, movimentato centro di un’Agorà mediterranea, se ne restano a Londra, chiusi in un Museo Imperiale, creato per studiare i popoli estinti: gli Assiri, i Sumeri, i Babilonesi e i Greci.
Ma la storia come la pronuncia non segue le arbitrarie teorie di qualche studioso o di un Cancelliere di Berlino, Londra o Bruxelles.
La Grecia, come diceva Oriana Fallaci del suo amato Panagulis, vive.
E parla a modo suo.