Nella sua prima opera Damiani traccia una precisa toponomastica personale e ‘oraziana’, indicativa del suo percorso, mostrando “l’adesione a dei luoghi sabini carichi di memoria letteraria (la fonte Bandusia, la Sabina, il fiume Clitunno) o umili (il paesino di Percìle e il piccolo lago Fraturno).

In questa geografia, poetica e umana insieme, si snoda dunque anche “un ideale di vita, lontano dal chiasso cittadino, incastonato nel paesaggio placido, sereno e calmo di una natura antica” (Sinfonico, 2016, p.129).

La raccolta di Damiani si apre con il prosimetro Roma. L’incipit è una prosa fortemente classicheggiante che richiama Orazio e luoghi cari ad Orazio, la casa e il fons Bandusie, tradotto ‘alla latina’ con il sostantivo maschile‘fonte’, citato nelle Odi (3,13).

L’apertura è molto ‘sentimentale’ (quasi ‘affettata’), con l’uso di termini come ‘tesoro’ e ‘dolce fonte’, nella prevalenza della dimensione del ricordo. Il tono sentimentale, da intimità di ‘amorosi sensi’, risalta anche dall’uso del diminutivo ‘boschetto’, connotato dall’aggettivo ‘piccolo’ e dal registro linguistico, con l’uso dell’italiano parlato (‘che non so perché’) (‘che ci passammo di corsa’), fortemente colloquiale (‘l’ho fatta ieri mattina di corsa la traduzione’). Classicheggiante e inattuale l’uso del temine ‘elce’ (dal latino ilex, albero presente nella tradizione italiana partire da Petrarca) al posto del più comune ‘leccio’, che però viene addolcito e diventa ‘quotidiano’ grazie all’uso del diminutivo ‘boschetto’ in ‘boschetto di elci’ (presente nell’ode di Orazio tradotta), quasi a mostrare la ‘quotidianità dei classici’; quotidianità e vicinanza riaffermate quando Damiani osserva che ‘nella poesia sembra grande, ma è molto piccolo, invece, il fonte’. L’apparente semplicità, quasi infantile, il lessico colloquiale, l’uso del parlato, la prevalenza della paratassi e l’utilizzo frequente della congiunzione ‘e’, insieme all’uso di vezzeggiativi e diminutivi, sono tutte peculiarità della poesia di Damiani: ne caratterizzano l’intera produzione.

Il registro colloquiale e la situazione di vissuto quotidiano sono evidenti nella situazione descritta: la ‘gita’ di Damiani con gli amici Gino e Arnaldo, ovvero Gino Scartaghiande e Arnaldo Colasanti, noti poeti e critici, sodali di Damiani già dai tempi di Braci.

Nell’opera sono evocate poi altre due gite, oltre a quella a Bandusia, nelle due elegie seguenti. Una ad un parco safari, dove Damiani prova stupore vedendo degli ippopotami; nella successiva elegia, invece, viene descritta la visita ad una stalla. Le tre ‘gite’ mostrano come l’opera descriva situazioni ordinarie e comuni.

Ulteriore personaggio è l’amata del poeta, il ‘tesoro’ che compare all’inizio. Andrebbe identificata con l’illustratrice tedesca Beate von Essan; Fraturno contiene due illustrazioni di von Essen dal titolo, rispettivamente, di Papaveri e di Pietre di Fraturno e l’attenzione agli aspetti grafici accompagna Damiani dai tempi di Braci. Secondo Sinfonico, ulteriori riferimenti a Beate von Essen sono presenti nella prima Elegia, nelle pp. 12-13, ai vv. 8-9 dove c’è un personaggio chiamato ‘amore’ che non conosce ancora bene la lingua italiana, “e forse non sapeva il nome/quando io dissi: ‘Tesoro!/ci sono gli ippopotami”. E nella seconda elegia, alle pp.14-16, quando Damiani racconta di una gita e, infine, in Oggi tornando, a p. 25 nel verso 17 “E t’ha visto, Beata, anche, e ti ha amato” (Sinfonico, 2016, p.130).

Note

Le citazioni sono tratte da: Sinfonico D., E guardavo, e pensavo e sentivo. ‘Fraturno’ di Claudio Damiani, in, Stroppa S., La poesia italiana degli anni ’80. Esordi e conferme, Pensa Multimedia Editore, Rovato (BS), 2016, pp. 124-143.

Marcello Ligobbi