Come tanti bambini ascoltiamo il papà. Appare quasi ogni sera in Tv e noi ci sentiam più sicuri. Ci dicon di non uscire. E noi non usciamo. Ci dicon di aver paura. E noi abbiam paura. Ci dicon che ci son morti. E noi li contiamo. Uno per uno. Dobbiam stare a casa che abbiamo la febbre. La febbre di quelli che stanno a guardare dalla finestra. Potremmo però far come gli altri. Noi, privilegiati del pianeta, gli unici che si possono permettere di chiudersi in casa (come bambini, sì) e aspettare che i grandi facciano quel che devono per proteggerci. E loro son lì, ci fan vedere, controllano, con l’occhio vigile, che non facciam sciocchezze, che se no dobbiam porger le nocche alla bacchetta. Come bambini indisposti ci mettiamo a letto e aspettiamo. Dobbiamo. Possiamo. Così, mentre gli altri, là fuori d’Europa, si gettan nel mondo, si dimenano e scalciano e corrono s’affannano stanchi e malati o terrorizzati di febbri, anche loro, e di tossi e gli ospedali gli dicon di no e vedono i carri passare pieni di strane bare che quasi non sanno e le folle impazzano e il mondo va avanti che non può fermarsi che se no si muore, sì, ma di fame, come sempre, e di stenti, noi ci fermiamo lì sul divano e ci pare strano non poterci nemmeno dar la mano. E la Tv ci racconta per giorni e per notti la nostra povera meschina disgrazia, più grande di tutte, che cantiamo sui balconi e mettiamo la mascherina mesti quando facciamo la passeggiatina e andiamo a comprare il pane e a fare tristi file con il certificato in tasca per rimpinzare frigo mai vuoti ma voraci come cani feroci, che si mangia e si beve e s’ingrassa, e quando andiamo a correre vestiti sgargianti attenti a restar dentro i metri che se no ci son le mine immaginarie (ma non troppo), che ci sparano che ci vedono che ci taccian d’untori, per giove! E così, mentre la nostra Tv ci parla dei poveri noi, di questo mondo d’ovatta dove però mancano persino semplici semplici piccole pezzole da metter sul viso e i medici (eroici, quelli, sul serio!) s’immolano su malati che non devon saper d’esser malati, stremati perché dovrebbero essere cento e son solo dieci, perché quel papà che ora parla in Tv (e i suoi padri, e i suoi nonni, vicini o lontani parenti) non vuol che si sappia, che s’è portato via gli altri, se li è mangiati, anno dopo anno, bilancio dopo bilancio, e allora anche nel mondo d’ovatta si è costretti a morire come non s’era mai sentito. E son cinquecento, e son mille e son duemila. E son quelli che sono, e gli altri a casa, a seguire come fosse una serie Tv. E le storie strappalacrime come se ci mancasse la tragedia. E mentre qui stiam sul divano giorno dopo giorno, sera dopo sera a guardare e ad ascoltare i cervelli che invece di pensar per bene gridano uno sull’altro da schermi remoti che irrompono in Tv, e dan lezioni che non sanno (io dico bianco, tu dici nero, ma senza saperlo davvero), nel frattempo, dico, il mondo va avanti, e fuori di qui gli altri, quelli oltrebambagia, muoiono come sempre fanno, d’Aids ebola malaria dengue, uomini donne bambini neonati e muoion di fame e di sete, e cadono in guerra, e son torturati, spersi nei deserti, naufragano in mare…
Per venire qui, nel mondo d’ovatta. Che con tutta l’ovatta che abbiamo, con tutti i denari che girano sempre come fiumi in piena, i vecchi ci muoiono negli ospizi. E sembra persino che non riusciremo a reggere nemmeno due mesi seduti, impauriti, senza far soldi.
Amen.